GENNAIO 2019 PAG. 36 - “Ridisegnare” obiettivi e governance dell’Europa
Le ultime sollecitazioni arrivate da Bruxelles in merito al regime di tassazione dei porti italiani e l’accoglimento della richiesta dell’antitrust francese di riaprire il dossier sull’acquisizione Fincantieri di Chantiers de l’Atlantique da parte della Commissione ripropongono la questione delle modalità di partecipazione del nostro paese nei processi decisionali dell’Ue. Tema ancor più importante alla luce della prossima scadenza elettorale, con l’affermazione negli ultimi anni di un orientamento politico trasversale che mira a “ridisegnare” obiettivi e governance dell’Europa.
Riprendendo un procedimento aperto lo scorso Aprile l’Ue, ha di fatto chiesto all’Italia di conformare il proprio sistema di tassazione alle norme in materia di aiuti di stato. “L’esenzione dall’imposta sulle società per i porti che realizzano profitti può rappresentare un vantaggio competitivo sul mercato interno,” sottolinea la Commissione.
La decisione, sulla scorta di analoghi provvedimenti presi a carico di Paesi Bassi, Francia e Belgio tra il 2016 e il 2017, si basa sulla distinzione riconosciuta in materia tra attività “economiche” e “non economiche” che possono essere svolte da uno scalo. Da una parte le operazione di sicurezza, controllo del traffico marittimo o di sorveglianza antinquinamento, escluse dal campo di applicazione della normativa sugli aiuti di Stato; dall’altro lo “sfruttamento commerciale” delle infrastrutture, come nel caso della concessione dell’accesso in porto dietro pagamento, che vi rientra in pieno.
L’insistito pronunciamento europeo, in realtà, mette il dito nella piaga della vexata questio sulla natura degli enti portuali italiani: organismi pubblici economici nell’interpretazione comunitaria, le AdSP sono a tutti gli effetti uno strano ibrido amministrativo che contemporaneamente regola e riscuote i canoni, pur non essendo un soggetto economico indipendente. Un guazzabuglio dal punto di vista interpretativo che va avanti da quasi un decennio e ha dimostrato non tanto, e non solo, l’incapacità del sistema paese di difendere adeguatamente le proprie posizioni in un settore così delicato ma di porre definitivamente rimedio all’equivoco prendendo una decisione in un verso o nell’altro.
Il risultato, a poco più di due mesi dalle scadenze imposte dalle procedure della Commissione, è il riattizzarsi del periodico dibattito sulla trasformazione o meno delle AdSP in SPA. Vera e propria rivoluzione nell’assetto del nostro sistema portuale che, nel caso fosse finalmente attuato, dimostrerebbe l’atteggiamento tutto sommato passivo del nostro Paese rispetto alla dialettica comunitaria su questioni di importanza strategica. Confermando, d’altro canto, una dinamica già sperimentata a suo tempo in occasione della legge 84/94, anch’essa frutto del “vincolo esterno”.
Stesso discorso per la riapertura del dossier Fincantieri - Chantiers de l’Atlantique, sollecitato dalla Francia e prontamente spalleggiato dalla Germania. In questo caso le dietrologie fioccano: mossa “populista” di Macron alle prese con la protesta dei “gilet gialli”, pressione franco-tedesca contro le velleità sovraniste del governo italiano, opportunismo dei tedeschi in difesa dei cantieri Meyer Werft. E dimostrano, ancora una volta, il grande fraintendimento italiano sulla natura dell’Europa unita.
Un’unione di interessi che non è un salotto ma un ring. Una camera di compensazione dove gli interessi nazionali si dispiegano senza infingimenti. E in cui, proprio in vista delle prossime elezioni, l’Italia deve riprendere l’iniziativa scegliendo, a partire dalle questioni marittime, in che posizione e secondo quali convenienze muoversi.
Giovanni Grande