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DICEMBRE 2018 PAG. 74 - L’armatore nelle secche del “pantouflage”


Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), ha dichiarato che la legge Severino mette in campo, per la prima volta, quell’auspicato e organico ventaglio di misure destinate a operare in funzione di prevenzione sul versante prevalentemente amministrativo. Pur volendo rispettare i disparati giudizi espressi sull’attività svolta dall’ex Ministro della Giustizia, è innegabile che la Severino ha avviato un percorso virtuoso volto a prevenire in via amministrativa i fenomeni di corruzione.

La legge 190/2012, nota come legge Severino, ha dettato Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione nella dichiarata attuazione dell’articolo 6 della Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2002 e ratificata ai sensi della legge 3 agosto 2009, n.116.

In particolare, ad integrazione dell’art. 53 del D. Lgs, 165/01, è stato introdotto il comma 16 ter che prevede un precetto e due sanzioni:
- I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.
- I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli.
- Ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti.

Il precetto riguarda la condotta (vietata) del dipendente della pubblica amministrazione mentre le due sanzioni sanciscono, da un lato, la nullità dei contratti conclusi e degli incarichi conferiti in relazione alla condotta vietata e, dall’altro, l’obbligo per l’ex dipendente di restituire i compensi percepiti ed il divieto per il soggetto privato a contrarre con le pubbliche amministrazioni. La ratio della norma è chiara. Nell’ambito della stretta connessione tra disciplina anticorruzione e attività contrattuale della pubblica amministrazione, si vuole garantire, in materia di contratti pubblici, il corretto espletamento delle procedure di aggiudicazione con il vincolo per l’ex dipendente e con il divieto per il soggetto privato di contrattare con la pubblica amministrazione.

Se la ratio della norma è chiara, è altrettanto chiara la criticità interpretativa nell’applicazione della norma per gli operatori che contrattano con la pubblica amministrazione. 
Questa criticità ha trovato conferma con la pubblicazione di una recente delibera dell’ANAC.  L’armatore Alfa è stato destinatario di alcuni atti di autorizzazione e concessione adottati da una Autorità di Sistema Portuale sotto la presidenza del Sig. Beta. A distanza di due anni dalla cessazione dalla carica di Presidente della AdSP, l’armatore Alfa conferisce un incarico direttivo al Sig. Beta.  All’ANAC perviene una segnalazione relativa ad una presunta violazione delle disposizioni di cui all’art. 53, comma 16 ter, del d. lgs. 165/2001.  Il Sig. Beta, nei tre anni precedenti la cessazione dalla carica di Presidente della AdSP, ha esercitato poteri autoritativi e/o negoziali nell’ambito dell’attività intrattenuta dalla AdSP, attraverso i medesimi poteri, con l’armatore Alfa.  Su tali presupposti, l’ANAC ha deliberato l’accertamento della violazione dell’art. 53, comma 16 ter, con riferimento all’assunzione dell’incarico da parte dell’ex Presidente della AdSP presso l’armatore Alfa prima del decorso dei tre anni dalla cessazione della carica.

La delibera, accertata la violazione (impugnata dall’armatore nella sede competente), non prende posizione in merito alle sanzioni previste dalla stessa norma e tanto meno sulla individuazione delle pubbliche amministrazione rispetto alle quali opera il divieto a contrarre.  L’ANAC, dopo aver fornito vari chiarimenti sull’istituto del pantouflage disciplinato dall’art. 53, comma 16 ter, dichiara di non potersi pronunciare sul piano sanzionatorio non avendo la norma individuato l’autorità competente in materia. Pertanto questa Autorità ritiene di non essere competente al compimento degli atti derivanti dall’accertamento della violazione dell’art. 53, comma 16 ter. In merito a tale vuoto normativo, l’ANAC si riserva di presentare un eventuale atto di segnalazione al Governo ed al Parlamento.
Non mi risulta se tale segnalazione sia stata fatta ma di certo l’Autorità competente sul piano sanzionatorio non è stata ancora individuata e, in questo vuoto normativo, l’armatore Alfa  finisce nelle secche del pantouflage.

Successivamente alla delibera dell’ANAC, l’armatore Alfa partecipa ad una gara indetta da altra AdSP. Aggiudicato l’appalto all’armatore Alfa, il relativo contratto non viene concluso in quanto, con riferimento all’art. 53, comma 16 ter, ed alla precitata delibera dell’ANAC, l’accertata violazione dell’istituto del pantouflage avrebbe fatto scattare per l’armatore sanzionato il divieto di contrarre con tutte le pubbliche amministrazioni e, nel caso in esame, con tutte le AdSP e non soltanto con quella di provenienza dell’ex Presidente.

Questa criticità si pone tutte le volte in cui il disciplinare di gara prevede che sono comunque esclusi gli operatori economici che abbiano affidato incarichi in violazione dell’art. 53, comma 16 ter. In linea di principio, non si può negare che la formula ampia utilizzata dal disciplinare possa essere interpretata nel senso di impedire la partecipazione anche all’impresa che abbia conferito incarichi a dipendenti di Autorità diverse dalla Stazione appaltante. Ciò detto, tuttavia, è innegabile che una interpretazione così estensiva sarebbe irragionevole e non coerente con la lettera e la ratio della disciplina legislativa.

In realtà, la norma interviene in un conflitto di interessi ad effetti differiti, sanzionando una specie di presunzione di corruzione. Se così è, il divieto di contrarre e, quindi, di partecipare alle gare deve fondarsi su un reale pericolo di alterazione della par condicio e quindi la norma, da un lato, ha lo scopo di impedire che il dipendente di una determinata pubblica amministrazione si possa precostituirsi una situazione di vantaggio nell’aspettativa di un futuro rapporto di lavoro con  l’impresa che ha  avuto rapporti con la stessa amministrazione e, dall’altro, ha lo scopo di impedire che l’impresa, assumendo l’ex dipendente, possa ricevere un ipotetico beneficio nel momento in cui contrae nuovamente con la stessa amministrazione di provenienza dell’ex dipendente.

Peraltro, la stessa formulazione testuale della norma conferma l’interpretazione restrittiva. Facendo riferimento ai destinatari ed ai medesimi poteri, la norma, in considerazione del suo carattere eccezionale che configura una ipotesi di nullità testuale, non è suscettibile di applicazione analogica e, in quanto tale, non consente una lettura ed una interpretazione estensiva. Ne discende la necessità di una applicazione di stretta e rigorosa interpretazione letterale.

Peraltro, anche sotto altro aspetto, un indiscriminato divieto di contrarre con tutte le Amministrazioni determinerebbe una irragionevole compressione del principio di concorrenza, derogando al principio di libertà di iniziativa economica di cui all’art. 43 della Costituzione.

Su queste premesse, mi sembra che la corretta interpretazione della norma debba essere nel senso che il divieto di contrarre per il soggetto privato e quindi per l’armatore Alfa, che intrattiene rapporti con l’ex Presidente di una AdSP, sia limitato alla AdSP di provenienza dell’ex Presidente.
Non ho la presunzione di considerare la interpretazione restrittiva della norma alla stregua di una interpretazione autentica, ma non posso fare a mano di osservare che questa interpretazione ha trovato conferma nel vigente Documento di Gara Unico Europeo (DGUE): L’operatore economico si trova nella condizione prevista dall’art 53 comma 16 ter del D. Lgs. 165/2001 ( pantouflage o revolving door ) in quanto ha concluso contratti di lavoro subordinato o autonomo e, comunque, ha attribuito incarichi ad ex dipendenti della stazione appaltante che hanno cessato il loro rapporto di lavoro da meno di tre anni e che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto della stessa stazione appaltante nei confronti del medesimo operatore economico. E’ pertanto indubbio che un indiscriminato divieto di contrarre con tutte le pubbliche amministrazioni e, quindi, anche con quelle rispetto alle quali è insussistente ogni possibile incompatibilità, sarebbe certamente in conflitto con il chiaro ed espresso principio europeo, determinando una irragionevole compressione del principio di concorrenza.

Anche in questo caso, le carenze del nostro sistema normativo ci impongono di fare ricorso alle istituzioni e ai principi comunitari per poter legittimamente disincagliare l’armatore italiano dalle secche del pantouflage.

Avv. Bruno Castaldo
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