NOVEMBRE 2018 PAG. 41 - Project cargo, nicchia di specializzazione a Napoli
Ha da poco concluso un’operazione d’imbarco da record nel porto di Napoli. In condizioni operative che non sono ottimali per un’attività della filiera logistica, il project cargo, che necessita soprattutto di spazio, merce rara nello scalo partenopeo. Ma “risolvere problemi” è un po’ la filosofia di Antonino Russo, General Manager di Marimed, realtà che è riuscita a crearsi nel corso degli anni una sua nicchia di specializzazione che la porta ad operare con continuità nei principali porti continentali del Sud Italia.
Che tipo di trasferimento ha realizzato a Napoli?
Per conto della società Simi Trasporti di Pescara abbiamo seguito le operazioni di imbarco al Terminal Flavio Gioia per un servizio door to door da Marcianise in Svezia di un trasformatore di potenza da 350 tonnellate: il manufatto più grande mai costruito in Italia e il più pesante mai esportato dalle banchine partenopee. Marimed ha operato come agente nave le operazioni di trasbordo e rizzaggio, oltre la fase, altrettanto delicata, del trasporto terrestre.
Quanto è durata l’operazione?
La fase su strada è durata tre giorni con due soste intermedie. Il manufatto è stato movimentato tramite un rimorchio a spanne: il convoglio lungo 80 metri, con due motrici, in testa e in coda, ha impegnato poco meno di una decina di persone tra autisti e manovratori, oltre il personale del Flavio Gioia. Il passaggio notturno dal Bausan ha comportato una serie di interventi correlati: innalzamento di cavi elettrici, spostamento di new jersey, eliminazione e risaldatura di elementi. Tutte operazioni tipiche di un tipo di servizio per natura non standardizzato, di un’attività per cui è necessario conoscere a fondo la merce trattata.
Come sta andando il mercato del project cargo?
C’è un po’ di ripresa dovuta soprattutto alla domanda estera. Il 90% delle operazioni nel settore dell’impiantistica è trainato dalle esportazioni a dispetto di una situazione nazionale che segna il passo. Negli ultimi tempi abbiamo operato a Salerno con Grimaldi e Messina, almeno fino al suo trasferimento a Napoli, con destinazioni Mediterraneo e Golfo Persico.
Quali sono le principali criticità da affrontare?
In un porto come Salerno ci sono grosse difficoltà a causa della scarsa accessibilità e della mancanza di spazi. Discorso simile per Napoli che pur essendo molto esteso è caratterizzato da una grossa frammentarietà nella gestione delle aree, con banchine praticamente deserte ed altre super congestionate. Un riequilibrio degli spazi garantirebbe una maggiore competitività permettendo di guadagnare margini di manovra per un’attività come la nostra che, sfruttando unità di medie dimensioni, non ha bisogno di un eccessivo pescaggio. C’è poi l’aspetto paradossale creato dalla mancanza di banchine pubbliche: le specializzazioni dello scalo sono di fatto determinate da pochi operatori che perseguono i loro obiettivi di economia di scala. Con l’eccezione del Terminal Flavio Gioia risulta sempre più complicato poter sviluppare un’attività come la nostra.
L’apertura delle ZES potrebbe favorire una crescita del settore?
Credo che le Zone possano costituire un importante volano di sviluppo attivando un circolo virtuoso attraverso l’importazione di materie prime e semilavorati e l’esportazione di prodotti finiti. Per quanto concerne la nostra specializzazione penso, ad esempio, all’assemblaggio di grossi manufatti per l’offshore, lavoro concentrato attualmente nel Nord Italia e in pochi porti meridionali come Bari e Taranto. Le competenze industriali e logistiche per attrarre questo tipo di investimenti non mancano, dipende su quale modello si deciderà di puntare.
Che tipo di trasferimento ha realizzato a Napoli?
Per conto della società Simi Trasporti di Pescara abbiamo seguito le operazioni di imbarco al Terminal Flavio Gioia per un servizio door to door da Marcianise in Svezia di un trasformatore di potenza da 350 tonnellate: il manufatto più grande mai costruito in Italia e il più pesante mai esportato dalle banchine partenopee. Marimed ha operato come agente nave le operazioni di trasbordo e rizzaggio, oltre la fase, altrettanto delicata, del trasporto terrestre.
Quanto è durata l’operazione?
La fase su strada è durata tre giorni con due soste intermedie. Il manufatto è stato movimentato tramite un rimorchio a spanne: il convoglio lungo 80 metri, con due motrici, in testa e in coda, ha impegnato poco meno di una decina di persone tra autisti e manovratori, oltre il personale del Flavio Gioia. Il passaggio notturno dal Bausan ha comportato una serie di interventi correlati: innalzamento di cavi elettrici, spostamento di new jersey, eliminazione e risaldatura di elementi. Tutte operazioni tipiche di un tipo di servizio per natura non standardizzato, di un’attività per cui è necessario conoscere a fondo la merce trattata.
Come sta andando il mercato del project cargo?
C’è un po’ di ripresa dovuta soprattutto alla domanda estera. Il 90% delle operazioni nel settore dell’impiantistica è trainato dalle esportazioni a dispetto di una situazione nazionale che segna il passo. Negli ultimi tempi abbiamo operato a Salerno con Grimaldi e Messina, almeno fino al suo trasferimento a Napoli, con destinazioni Mediterraneo e Golfo Persico.
Quali sono le principali criticità da affrontare?
In un porto come Salerno ci sono grosse difficoltà a causa della scarsa accessibilità e della mancanza di spazi. Discorso simile per Napoli che pur essendo molto esteso è caratterizzato da una grossa frammentarietà nella gestione delle aree, con banchine praticamente deserte ed altre super congestionate. Un riequilibrio degli spazi garantirebbe una maggiore competitività permettendo di guadagnare margini di manovra per un’attività come la nostra che, sfruttando unità di medie dimensioni, non ha bisogno di un eccessivo pescaggio. C’è poi l’aspetto paradossale creato dalla mancanza di banchine pubbliche: le specializzazioni dello scalo sono di fatto determinate da pochi operatori che perseguono i loro obiettivi di economia di scala. Con l’eccezione del Terminal Flavio Gioia risulta sempre più complicato poter sviluppare un’attività come la nostra.
L’apertura delle ZES potrebbe favorire una crescita del settore?
Credo che le Zone possano costituire un importante volano di sviluppo attivando un circolo virtuoso attraverso l’importazione di materie prime e semilavorati e l’esportazione di prodotti finiti. Per quanto concerne la nostra specializzazione penso, ad esempio, all’assemblaggio di grossi manufatti per l’offshore, lavoro concentrato attualmente nel Nord Italia e in pochi porti meridionali come Bari e Taranto. Le competenze industriali e logistiche per attrarre questo tipo di investimenti non mancano, dipende su quale modello si deciderà di puntare.
Giovanni Grande