NOVEMBRE 2018 PAG. 33 - Italia-Cina, equilibrare una relazione asimmetrica
Il mercato italiano assorbe circa 28-35 miliardi di euro di beni cinesi, con un deficit commerciale che si assesta sui 16-20 miliardi annuali, su un interscambio complessivo di 42-47 miliardi. Esiste, evidentemente, un’asimmetria da riequilibrare, in un quadro generale in cui l’Italia gioca un ruolo politico subalterno, “con un profilo periferico sulla scena internazionale, senza risorse o tecnologie non reperibili altrove, e non più ubicata, come un tempo, in posizione strategica”. Paese “immobile” rispetto alla China policy imposta a livello europeo dalla Germania (non a caso unica economia continentale con un saldo positivo di bilancio rispetto al gigante asiatico), con una forte deficienza in termini di governance amministrativa e sprovvista di sufficienti reti protettive rispetto alla globalizzazione senza regole, l’Italia subisce oltretutto la “forte competitività cinese sui mercati terzi, anche nella fascia alta della catena di valore che negli ultimi 20 anni ha travolto il ‘made in Italy’”. In che modo bilanciare questi pesanti fattori di squilibrio? È quanto tenta di fare il policy paper realizzato dal Centro Studi sulla Cina Contemporanea e intitolato non a caso “Italia Cina, come riequilibrare una relazione asimmetrica”.
Con una serie di comparti industriali ancora competitivi e tecnologicamente avanzati “l’export italiano in Cina è ancora per i 4/5 rappresentato da beni strumentali, mentre le tre effe (fashion, food, furniture) non coprono più del 15% del totale, a dimostrazione che l’industria meccanica rappresenta tuttora il cuore produttivo del nostro paese, che occorre tutelare al massimo grado”. La penisola sconta – secondo la ricerca – soprattutto l’inefficienza della sua strategia marittima. “L’Italia non è riuscita a individuare un porto-hub da proporre a un investitore cinese per l’ingresso delle merci cinesi in Europa. Affinché la nostra Penisola possa diventare la porta europea d’ingresso per i prodotti cinesi – ammesso che le opportunità non siano ormai definitivamente sfumate – sarebbe necessario un inedito salto di qualità , che parta da un’adeguata pianificazione della portualità italiana nel suo insieme, alla luce della quale aprire un dialogo concreto con potenziali investitori cinesi”.
Le asimmetrie tra Italia e Cina presentano diversi profili. “Per trent’anni il trasferimento a senso unico di know how e tecnologia italiana ha assicurato un tangibile contributo alla crescita cinese”. A questo devono aggiungersi i finanziamenti di Cooperazione allo Sviluppo per 2,3 miliardi di euro e quelli del settore ambientale per 320 milioni. “Sull’arena mondiale i sistemi contano più dei singoli, individui o aziende, anche quando questi ultimi sono avanzati e competitivi. Il successo è figlio dell’efficienza d’insieme, amministrazioni pubbliche integre, capaci e reattive, norme di legge comprensibili e puntualmente applicate, codici sanzionatori immediati e proporzionali”.
In questo scenario il tragitto terrestre della BRI potrebbe rappresentare una finestra di opportunità , “tenendo conto delle necessità infrastrutturali di paesi centro-asiatici”. Con un’offerta portuale mancante di appeal occorreranno però, “dati quantitativi e qualitativi più accurati sui paesi attraversati da Bri, conoscenza di strategie, contatti, settori prioritari, struttura logistica e dei servizi attuali e attesi, aspetti finanziari e procedurali degli appalti, flussi turistici e consistenza del patrimonio storico-monumentale nei territori interessati, e altro ancora”.
Come risalire la china? “La prima cosa da fare sarebbe saggiare la disponibilità politica di Pechino a lavorare davvero all’attuazione delle intese concordate, evitando che gli scambi di visite, anche ai massimi livelli, rimangano appuntamenti di natura coreografica, traendone le conseguenze in caso contrario”.
Poi, una manciata di indicazioni: dalla promozione dell’immagine del Paese all’aggiornamento degli strumenti di promozione commerciale, dalla valorizzazione del forum Italia – Cina alla promozione dello studio delle rispettive lingue. Soprattutto, l’istituzione presso la presidenza del Consiglio di un Dipartimento permanente sulla Cina, con il compito “di accumulare conoscenza e capacità operativa su tutto ciò che riguarda la Cina, in collaborazione con centri di ricerca, associazioni e realtà accademiche esterne”.
Con una serie di comparti industriali ancora competitivi e tecnologicamente avanzati “l’export italiano in Cina è ancora per i 4/5 rappresentato da beni strumentali, mentre le tre effe (fashion, food, furniture) non coprono più del 15% del totale, a dimostrazione che l’industria meccanica rappresenta tuttora il cuore produttivo del nostro paese, che occorre tutelare al massimo grado”. La penisola sconta – secondo la ricerca – soprattutto l’inefficienza della sua strategia marittima. “L’Italia non è riuscita a individuare un porto-hub da proporre a un investitore cinese per l’ingresso delle merci cinesi in Europa. Affinché la nostra Penisola possa diventare la porta europea d’ingresso per i prodotti cinesi – ammesso che le opportunità non siano ormai definitivamente sfumate – sarebbe necessario un inedito salto di qualità , che parta da un’adeguata pianificazione della portualità italiana nel suo insieme, alla luce della quale aprire un dialogo concreto con potenziali investitori cinesi”.
Le asimmetrie tra Italia e Cina presentano diversi profili. “Per trent’anni il trasferimento a senso unico di know how e tecnologia italiana ha assicurato un tangibile contributo alla crescita cinese”. A questo devono aggiungersi i finanziamenti di Cooperazione allo Sviluppo per 2,3 miliardi di euro e quelli del settore ambientale per 320 milioni. “Sull’arena mondiale i sistemi contano più dei singoli, individui o aziende, anche quando questi ultimi sono avanzati e competitivi. Il successo è figlio dell’efficienza d’insieme, amministrazioni pubbliche integre, capaci e reattive, norme di legge comprensibili e puntualmente applicate, codici sanzionatori immediati e proporzionali”.
In questo scenario il tragitto terrestre della BRI potrebbe rappresentare una finestra di opportunità , “tenendo conto delle necessità infrastrutturali di paesi centro-asiatici”. Con un’offerta portuale mancante di appeal occorreranno però, “dati quantitativi e qualitativi più accurati sui paesi attraversati da Bri, conoscenza di strategie, contatti, settori prioritari, struttura logistica e dei servizi attuali e attesi, aspetti finanziari e procedurali degli appalti, flussi turistici e consistenza del patrimonio storico-monumentale nei territori interessati, e altro ancora”.
Come risalire la china? “La prima cosa da fare sarebbe saggiare la disponibilità politica di Pechino a lavorare davvero all’attuazione delle intese concordate, evitando che gli scambi di visite, anche ai massimi livelli, rimangano appuntamenti di natura coreografica, traendone le conseguenze in caso contrario”.
Poi, una manciata di indicazioni: dalla promozione dell’immagine del Paese all’aggiornamento degli strumenti di promozione commerciale, dalla valorizzazione del forum Italia – Cina alla promozione dello studio delle rispettive lingue. Soprattutto, l’istituzione presso la presidenza del Consiglio di un Dipartimento permanente sulla Cina, con il compito “di accumulare conoscenza e capacità operativa su tutto ciò che riguarda la Cina, in collaborazione con centri di ricerca, associazioni e realtà accademiche esterne”.
Giovanni Grande