OTTOBRE 2018 PAG.33 - L’Italia e il progetto BRI opportunità del Sistema Paese
Nel decennio compreso tra il 2006 e il 2016 il commercio nell’area geografica in cui rientra il progetto Belt and Road è scresciuto complessivamente dell’84%, consolidando ulteriormente l’influenza cinese che per alcuni paesi diventa vera e propria dipendenza. È quanto emerge dal rapporto “L’Italia e il progetto BRI, le opportunità e le priorità del sistema paese” realizzato da Nomisma – Centro studi sulla Cina Contemporanea, cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e presentato presso la Camera dei Deputati.
Prendendo in considerazione la rilevanza in percentuale di ogni paese nel totale delle attività commerciali lungo la Nuova Via della Seta la Cina copre una fetta pari al 23%, seguita da India e Singapore tenute a debita distanza (7%). Da notare come dalla partenza della BRI su 64 paesi ben 58 hanno visto calare i flussi commerciali intra-area (in particolare tutti i paesi più rilevanti tranne il Vietnam).
In questo contesto per alcune realtà regionali si sta verificando una vera e propria dipendenza dall’export generato nell’ambito della BRI. È il caso ad esempio del Buthan, esposto per il 96%, seguito dall’Afghanistan (92%), dal Laos (91%), Tajikistan (89%), Nepal (88%), Myanmar (81%); a riprova della vitalità dell’area la quota dei paesi che commerciano di meno che oscillano comunque tra il 40% e il 23% del fanalino di coda Israele. Per quanto concerne l’Italia il commercio con l’area BRI è cresciuto del 17,6% nel decennio preso in considerazione con un deficit di bilancio commerciale ridotto nel tempo dai circa 50 miliardi di dollari del 2011 agli 11 miliardi del 2016, in gran parte dovuto al calo del costo dei prodotti energetici.
Tra le principali categorie di prodotto esportate dall’Italia (con una crescita verso Pechino del 93% tra il 2006-16 per un totale di 10,6 miliardi) vi sono macchinari e apparecchi (25%), prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori (12%), metalli di base e prodotti in metallo (10,9%) a fronte di un import a domanda rigida come commodities, prodotti agricoli, metalli. Negli ultimi anni l’Italia ha visto crescere il suo ruolo soprattutto nella farmaceutica (+191,55) e nell’agri-food (+154,6%), settori che vanno affermandosi come “campioni nazionali”, mentre permane il calo per computer, apparecchi elettronici e ottici (-5,3%).
I paesi dell’area BRI in cui l’Italia ha maggiore penetrazione rimangono quelli “europei” (Albania, Polonia, Croazia) che rappresentano il 53% dell’export italiano, seguiti dalla Cina verso la quale converge il 10% dei flussi esteri della penisola.
“Nei primi 15 paesi in cui l’Italia è più presente – sottolinea il report – l’influenza della Cina è meno forte che in altri paesi BRI. Questo dà senza dubbio più spazio all’iniziativa italiana nell’area.”
“L’Italia – ha ricordato in sede di presentazione del rapporto Alberto Bradanini, già ambasciatore in Cina e Iran – è ben posizionata per avanzare proposte strutturate, sia verso la Cina, sia nei paesi terzi insieme a selezionati soggetti cinesi. In particolare, vi è forte necessità di formazione di alto livello e professionalità ad hoc. Questi piani di cooperazione potrebbero costituire il presupposto per consentire al Sistema Italia di ricavarsi una presenza adeguata alle sue potenzialità nei progetti industriali che saranno sviluppati dalla Bri e che sono collegati a tali aspetti.”
Giovanni Grande
Prendendo in considerazione la rilevanza in percentuale di ogni paese nel totale delle attività commerciali lungo la Nuova Via della Seta la Cina copre una fetta pari al 23%, seguita da India e Singapore tenute a debita distanza (7%). Da notare come dalla partenza della BRI su 64 paesi ben 58 hanno visto calare i flussi commerciali intra-area (in particolare tutti i paesi più rilevanti tranne il Vietnam).
In questo contesto per alcune realtà regionali si sta verificando una vera e propria dipendenza dall’export generato nell’ambito della BRI. È il caso ad esempio del Buthan, esposto per il 96%, seguito dall’Afghanistan (92%), dal Laos (91%), Tajikistan (89%), Nepal (88%), Myanmar (81%); a riprova della vitalità dell’area la quota dei paesi che commerciano di meno che oscillano comunque tra il 40% e il 23% del fanalino di coda Israele. Per quanto concerne l’Italia il commercio con l’area BRI è cresciuto del 17,6% nel decennio preso in considerazione con un deficit di bilancio commerciale ridotto nel tempo dai circa 50 miliardi di dollari del 2011 agli 11 miliardi del 2016, in gran parte dovuto al calo del costo dei prodotti energetici.
Tra le principali categorie di prodotto esportate dall’Italia (con una crescita verso Pechino del 93% tra il 2006-16 per un totale di 10,6 miliardi) vi sono macchinari e apparecchi (25%), prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori (12%), metalli di base e prodotti in metallo (10,9%) a fronte di un import a domanda rigida come commodities, prodotti agricoli, metalli. Negli ultimi anni l’Italia ha visto crescere il suo ruolo soprattutto nella farmaceutica (+191,55) e nell’agri-food (+154,6%), settori che vanno affermandosi come “campioni nazionali”, mentre permane il calo per computer, apparecchi elettronici e ottici (-5,3%).
I paesi dell’area BRI in cui l’Italia ha maggiore penetrazione rimangono quelli “europei” (Albania, Polonia, Croazia) che rappresentano il 53% dell’export italiano, seguiti dalla Cina verso la quale converge il 10% dei flussi esteri della penisola.
“Nei primi 15 paesi in cui l’Italia è più presente – sottolinea il report – l’influenza della Cina è meno forte che in altri paesi BRI. Questo dà senza dubbio più spazio all’iniziativa italiana nell’area.”
“L’Italia – ha ricordato in sede di presentazione del rapporto Alberto Bradanini, già ambasciatore in Cina e Iran – è ben posizionata per avanzare proposte strutturate, sia verso la Cina, sia nei paesi terzi insieme a selezionati soggetti cinesi. In particolare, vi è forte necessità di formazione di alto livello e professionalità ad hoc. Questi piani di cooperazione potrebbero costituire il presupposto per consentire al Sistema Italia di ricavarsi una presenza adeguata alle sue potenzialità nei progetti industriali che saranno sviluppati dalla Bri e che sono collegati a tali aspetti.”
Giovanni Grande