OTTOBRE 2018 PAG.16 - Shipbroker, il lavoro più bello del mondo
“Fulvio Carlini, 61 anni, shipbroker e fiero di esserlo”. La presentazione è fulminea e diretta. E mette in evidenza fin da subito l’orgoglio per la propria professione, la passione necessaria ad un mestiere che “ti mette in contatto con il mondo”. Primo italiano a conseguire nel 1997 il ruolo di “fellow” presso l’Institute of Chartered Shipbrokers di Londra (di cui è membro dal 1988) Carlini è anche chairman del Chartering & Documentary Committe e membro del comitato esecutivo di FONASBA, la federazione mondiale degli shipbrokers e agenti marittimi. In questa veste lavora a tutto campo nel raccogliere “esigenze, problematiche, esperienze comuni al settore e a promuovere le best practice”. “Nello specifico mi occupo delle documentazioni a livello internazionale: è il caso, ad esempio, dei nuovi modelli presentati recentemente dalla Federazione in un seminario alla Naples Shipping Week”.
Di cosa si tratta in particolare?
Abbiamo messo a punto insieme a Bimco due documenti specifici denominati “General Agency Agreement” e “Agency Appointment” per ottimizzare la nomina dell’agente quando una nave effettua lo scalo. In pratica, sostituendo la varietà di format esistenti in passato con un modello uniformato puntiamo a minimizzare al massimo equivoci e incomprensioni alla base delle dispute tra le parti. Con gli stessi obiettivi stiamo lavorando con una dozzina di esperti a livello internazionale alla revisione del Gencon, il contratto più usato nel noleggio di navi carico secco, la cui ultima revisione risale al 1994. Abbiamo cominciato circa 6 mesi fa, dovremo completare il lavoro entro un anno.
Quali fattori rendono necessari questi cambiamenti?
Intanto, si è registrata una caduta della qualità lavorativa nel nostro settore dovuta all’arrivo di nuovi player con scarsa preparazione di base e poca esperienza. Una situazione che favorisce l’insorgere delle controversie. Proprio per questo stiamo basando la nostra azione a partire dai casi concreti. Poi ci sono i cambiamenti generalizzati che hanno investito il mondo dello shipping. C’è stata una grande variazione nella struttura stessa delle navi e nell’operatività dei porti. Senza contare il cambio delle rotte. Sono stato coinvolto personalmente nel noleggio della prima nave cinese che ha trasportato componenti per turbine in Nord Europa attraverso la rotta artica. Con l’apertura graduale di questa via diventerà necessario inserire una clausola anche per il passaggio polare.
Che tipo di dinamiche emergono dalla discussione?
C’è una differenza sostanziale tra il mondo anglosassone e quello latino. I primi, ad esempio, tendono alle affermazioni di principio mentre i secondi sono più propensi alla mediazione. Mentre noi puntiamo a soluzioni “win win” dall’altro lato vige l’idea “winner take it all”: si prende tutto in caso di vittoria, ma si perde nella maggior parte dei casi. Ma questo incontro di mentalità è anche il fascino di questo settore, quello che ti permette di mettere da parte un bagaglio di conoscenze ed esperienze a prova di qualsiasi presunta rivoluzione tecnologica.
La digitalizzazione nemica dei broker?
Non direi. Il tentativo di disintermediazione attraverso l’uso di piattaforme ha avuto qualche successo solo nelle attività altamente standardizzate. Nel carico da stiva, caratterizzato da mille variabili, l’aspetto umano è ancora preponderante: in fondo non conta se un broker è costoso o meno ma solo se è bravo. Di certo il settore, caratterizzato ancora dalla presenza di troppi “one man band”, dovrebbe articolarsi verso un modello organizzativo più esteso, in grado di unire le forze singole e coprire tutto il processo commerciale minimizzando i costi.
Come si diventa broker?
Non è un mestiere fai da te e presuppone la voglia di confrontarsi con la complessità. Al termine degli studi di prammatica è necessaria una formazione professionale che non consiglio di svolgere in Italia. Ai giovani suggerirei di lasciare il paese per almeno 5 anni per lavorare in realtà internazionali. Solo così si impara il lavoro più bello del mondo.
Giovanni Grande
Di cosa si tratta in particolare?
Abbiamo messo a punto insieme a Bimco due documenti specifici denominati “General Agency Agreement” e “Agency Appointment” per ottimizzare la nomina dell’agente quando una nave effettua lo scalo. In pratica, sostituendo la varietà di format esistenti in passato con un modello uniformato puntiamo a minimizzare al massimo equivoci e incomprensioni alla base delle dispute tra le parti. Con gli stessi obiettivi stiamo lavorando con una dozzina di esperti a livello internazionale alla revisione del Gencon, il contratto più usato nel noleggio di navi carico secco, la cui ultima revisione risale al 1994. Abbiamo cominciato circa 6 mesi fa, dovremo completare il lavoro entro un anno.
Quali fattori rendono necessari questi cambiamenti?
Intanto, si è registrata una caduta della qualità lavorativa nel nostro settore dovuta all’arrivo di nuovi player con scarsa preparazione di base e poca esperienza. Una situazione che favorisce l’insorgere delle controversie. Proprio per questo stiamo basando la nostra azione a partire dai casi concreti. Poi ci sono i cambiamenti generalizzati che hanno investito il mondo dello shipping. C’è stata una grande variazione nella struttura stessa delle navi e nell’operatività dei porti. Senza contare il cambio delle rotte. Sono stato coinvolto personalmente nel noleggio della prima nave cinese che ha trasportato componenti per turbine in Nord Europa attraverso la rotta artica. Con l’apertura graduale di questa via diventerà necessario inserire una clausola anche per il passaggio polare.
Che tipo di dinamiche emergono dalla discussione?
C’è una differenza sostanziale tra il mondo anglosassone e quello latino. I primi, ad esempio, tendono alle affermazioni di principio mentre i secondi sono più propensi alla mediazione. Mentre noi puntiamo a soluzioni “win win” dall’altro lato vige l’idea “winner take it all”: si prende tutto in caso di vittoria, ma si perde nella maggior parte dei casi. Ma questo incontro di mentalità è anche il fascino di questo settore, quello che ti permette di mettere da parte un bagaglio di conoscenze ed esperienze a prova di qualsiasi presunta rivoluzione tecnologica.
La digitalizzazione nemica dei broker?
Non direi. Il tentativo di disintermediazione attraverso l’uso di piattaforme ha avuto qualche successo solo nelle attività altamente standardizzate. Nel carico da stiva, caratterizzato da mille variabili, l’aspetto umano è ancora preponderante: in fondo non conta se un broker è costoso o meno ma solo se è bravo. Di certo il settore, caratterizzato ancora dalla presenza di troppi “one man band”, dovrebbe articolarsi verso un modello organizzativo più esteso, in grado di unire le forze singole e coprire tutto il processo commerciale minimizzando i costi.
Come si diventa broker?
Non è un mestiere fai da te e presuppone la voglia di confrontarsi con la complessità. Al termine degli studi di prammatica è necessaria una formazione professionale che non consiglio di svolgere in Italia. Ai giovani suggerirei di lasciare il paese per almeno 5 anni per lavorare in realtà internazionali. Solo così si impara il lavoro più bello del mondo.
Giovanni Grande