SETTEMBRE2018 PAG. 33 - La Cina punta selle reti virtuali per la connettività globale
La strada per la connettività globale targata Cina passa anche dalla digitalizzazione e dalle infrastrutture che la rendono possibile. Concentrati sugli aspetti più visibili e spettacolari della Belt and Road Initiative – porti, strade, ponti, centrali elettriche – si rischia di perdere di vista lo sforzo crescente di Pechino sul versante delle reti virtuali: in pratica, un terzo elemento della BRI (“Space and Information Corridor”), insieme alla via ferroviaria e alla cintura marittima, altrettanto strategico per gli interessi cinesi dal punto di vista economico, politico e di sicurezza.
Ne è dimostrazione l’entrata ufficiale in funzione, a metà del luglio scorso, del network Pak-China Optical Fibre Cable, che innerva il Corridoio Economico Cina Pakistan, attraverso la posa complessiva di 2.950 chilometri di cavi. Progetto da 44 milioni di dollari, realizzato da un consorzio con sede di riferimento a Shenzhen (Huawei Technologies), Pak-China OFC penetra il territorio pakistano per 822 chilometri, da Rawalpindi fino alla Cina, attraverso il valico di frontiera di Khunierab. Con i suoi 4.700 metri sul livello del mare si tratta dell’infrastruttura per servizi digitali più alta al mondo e, nella seconda fase di sviluppo, raggiungerà il porto di Gwadar.
Proprio le recenti difficoltà dello scalo nell’espletamento delle operazioni amministrative – a causa del taglio di una serie di cavi sottomarini è saltata la connettività internet, con ritardi nello sdoganamento e la consegna delle merci – illustrano il coinvolgimento crescente della Cina nel settore. La larghezza di banda necessaria ad alimentare le procedure portuali sarà assicurata entro la fine del 2019, oltre che da Pak-China OFC, anche dal Pakistan East Africa Cable Express (PEACE), rete sottomarina che collegherà Karachi e Gwadar a Gibuti e successivamente ad altri paesi africani, mediorientali ed europei: dai 6.200 chilometri della prima fase di realizzazione il network PEACE potrebbe estendersi fino a 13mila chilometri per fissare il suo capolinea in Francia.
D’altro canto lo sviluppo di una Digital Silk Road è stato accuratamente pianificato da Pechino fin dall’inizio. Registrata ufficialmente come obiettivo strategico del paese in un Libro Bianco del 2015 è stata accolta nel XIII Piano Quinquennale (con un particolare riferimento alla creazione di connessioni con i Paesi arabi) e nei programmi “Made in China 2025” e “Internet Plus”.
Tra i motivi che spingono Pechino lungo la strada della infrastrutturazione digitale senza dubbio la necessità di aggiornare la propria struttura economica e lanciare gli “attori nazionali” alla conquista di nuovi mercati. È quanto avvenuto, ad esempio, in India, con l’apertura da parte di China Development Bank and Industrial and Commercial Bank of China di una linea di credito di 2,5 miliardi di dollari al più grande operatore del paese (Bharti Airtel). Operazione da cui è scaturita una ricca messe di esternalizzazioni per Huawei e ZTE che hanno potuto mettere piede in modo massiccio nel subcontinente.
Ma contano anche le questioni di sicurezza nazionale ed egemonia politica. Ad oggi i cavi sottomarini in fibra ottica, attraverso cui passa circa il 98% del traffico dati dell’economia-mondo, sono concentrati geograficamente e, in pratica, controllati dagli Stati Uniti d’America. Realizzare reti transfrontaliere mette Pechino al riparo dal rischio di dipendere eccessivamente dai punti di maggior strozzatura (come nel caso dello Stretto di Malacca) e da possibili tentativi di interferenza straniera.
È in quest’ottica che non si ferma neanche la conquista dello spazio, ennesima frontiera della BRI. Anche a supporto della digitalizzazione del Corridoio Economico Cina Pakistan in agosto sono stati lanciati due satelliti di comunicazione per conto del paese islamico. Un modo per promuovere il sistema di localizzazione “made in China” BeiDou (BDS) e contrastare il monopolio del GPS americano, del Galileo europeo e del Glonass russo.
Giovanni Grande