AGOSTO 2018 PAG 56 - LA CINA E LA NUOVA VIA DELLA SETA - Antonio Selvatici - Rubbettino
Entro la fine dell’anno potrebbe essere abbassata dal 25 al 15% la soglia di acquisizione di partecipazioni in aziende tedesche su cui il governo di Berlino esercita diritto di veto. Dopo lo shopping cinese in settori strategici per l’Industria 4.0 (basti solo l’esempio di Kuka Robotics Ag, attiva nel settore della robotica e automazione industriale ed acquisita completamente da Medea), il governo Merkel batte un colpo e annuncia misure di “sovranismo economico”, almeno per le operazioni che mettono in discussione la “sicurezza nazionale”.
Una svolta che riprende e anticipa, in attesa del completamento del relativo iter burocratico, la Proposta di regolamento del Parlamento europeo, avanzata poco meno di un anno fa, “per l’istituzione di un quadro per il controllo degli investimenti diretti nell’Ue”. Il primo abbozzo di risposta europea alla “gestione della globalizzazione”, così come è stata concepita fino ad ora.
E proprio dal tentativo di “cambio della guardia” tra Occidente e Cina nei processi di mondializzazione prende le mosse il libro di Selvatici. Una ricostruzione puntuale che, messi da parte tutti i discorsi sulle “magnifiche sorti e progressive” della Nuova Via della Seta, cerca di restituirne la natura oggettiva di progetto egemonico.
“One Belt One Road – come affermato dall’ex vice ministro degli Esteri, He Yafei – si presenta come la risposta cinese al cambiamento degli scenari geopolitici, alla crisi economica globale e punta e definire un nuovo ordine mondiale o meglio a dettare le regole del sistema attuale”. Con la strategia (win-win?) delle infrastrutture Pechino ha intrapreso una “conquista consensuale” in cui la contropartita è rappresentata da accordi economici essenziali ad ampliare la sua sfera di influenza territoriale, garantendo, contro i primi sintomi di una crisi demografica, “un vastissimo bacino economico e di manodopera”.
Ad alimentare il piano cinese “il vantaggio competitivo” rappresentato dalla peculiare “governance autoritaria”. Da un lato la fragilità dei sistemi democratici, interessati ai risultati sul brevissimo termine, dall’altra “la progettualità di lungo periodo sostenuta dalle casse dello Stato”. Il tutto sotto il cappello del neoliberismo, “della globalizzazione a tutti i costi che ha giustificato il grande trasferimento di ricchezza da Occidente a Oriente”.
In un gioco giocato con “regole contraffatte”, con la Cina che ha eretto barriere e impedito investimenti diretti, l’ex “fabbrica del mondo” sta dunque invertendo il pendolo della storia, consolidando le sue posizioni e, complici le politiche neoisolazioniste e populiste sorte sui lidi occidentali, proietta il suo modello di sviluppo a livello globale.
In che modo bilanciare una situazione che potrebbe apparire a prima vista già compromessa? Una delle risposte potrebbe essere il recupero dei concetti di “reciprocità ” e “sicurezza nazionale”. Gli stessi che animano la proposta del regolamento europeo e che fanno capolino nelle iniziative politiche prese in ordine sparso da alcuni paesi dell’Unione. Tra questi anche l’Italia, con lo strumento del Golden Power, introdotto dalla legge 4 dicembre 2017, n.172 sul controllo degli investimenti. “Per determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico è possibile prendere in considerazione la circostanza che l’investitore straniero è controllato dal governo di un paese terzo, non appartenente all’Ue, anche attraverso finanziamenti significativi”.
Una svolta che riprende e anticipa, in attesa del completamento del relativo iter burocratico, la Proposta di regolamento del Parlamento europeo, avanzata poco meno di un anno fa, “per l’istituzione di un quadro per il controllo degli investimenti diretti nell’Ue”. Il primo abbozzo di risposta europea alla “gestione della globalizzazione”, così come è stata concepita fino ad ora.
E proprio dal tentativo di “cambio della guardia” tra Occidente e Cina nei processi di mondializzazione prende le mosse il libro di Selvatici. Una ricostruzione puntuale che, messi da parte tutti i discorsi sulle “magnifiche sorti e progressive” della Nuova Via della Seta, cerca di restituirne la natura oggettiva di progetto egemonico.
“One Belt One Road – come affermato dall’ex vice ministro degli Esteri, He Yafei – si presenta come la risposta cinese al cambiamento degli scenari geopolitici, alla crisi economica globale e punta e definire un nuovo ordine mondiale o meglio a dettare le regole del sistema attuale”. Con la strategia (win-win?) delle infrastrutture Pechino ha intrapreso una “conquista consensuale” in cui la contropartita è rappresentata da accordi economici essenziali ad ampliare la sua sfera di influenza territoriale, garantendo, contro i primi sintomi di una crisi demografica, “un vastissimo bacino economico e di manodopera”.
Ad alimentare il piano cinese “il vantaggio competitivo” rappresentato dalla peculiare “governance autoritaria”. Da un lato la fragilità dei sistemi democratici, interessati ai risultati sul brevissimo termine, dall’altra “la progettualità di lungo periodo sostenuta dalle casse dello Stato”. Il tutto sotto il cappello del neoliberismo, “della globalizzazione a tutti i costi che ha giustificato il grande trasferimento di ricchezza da Occidente a Oriente”.
In un gioco giocato con “regole contraffatte”, con la Cina che ha eretto barriere e impedito investimenti diretti, l’ex “fabbrica del mondo” sta dunque invertendo il pendolo della storia, consolidando le sue posizioni e, complici le politiche neoisolazioniste e populiste sorte sui lidi occidentali, proietta il suo modello di sviluppo a livello globale.
In che modo bilanciare una situazione che potrebbe apparire a prima vista già compromessa? Una delle risposte potrebbe essere il recupero dei concetti di “reciprocità ” e “sicurezza nazionale”. Gli stessi che animano la proposta del regolamento europeo e che fanno capolino nelle iniziative politiche prese in ordine sparso da alcuni paesi dell’Unione. Tra questi anche l’Italia, con lo strumento del Golden Power, introdotto dalla legge 4 dicembre 2017, n.172 sul controllo degli investimenti. “Per determinare se un investimento estero possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico è possibile prendere in considerazione la circostanza che l’investitore straniero è controllato dal governo di un paese terzo, non appartenente all’Ue, anche attraverso finanziamenti significativi”.
Recensioni: giovanni.grande@portoeinterporto.it