Marzo 2018 Pag. 38 - Fercargo, nuova stagione per lo sviluppo del ferroviario
La sostanziosa inversione di tendenza registrata
nell’ultimo triennio non basta ancora a riportare i volumi di traffico
ferroviario merci ai livelli pre-crisi del 2008. Indica tuttavia i segnali di
una possibile svolta; di un cambio di passo alimentato dal ritorno in campo,
dopo anni di disinteresse per il settore, di FSI e dal crescente successo del
comparto privato. Per Giancarlo Laguzzi, presidente di Fercargo, ci sono tutti
i presupposti per una nuova stagione di sviluppo per il trasporto su ferro: “a
patto, però, di garantire il necessario salto di qualità e di adeguarci, a
tutti i livelli, agli standard europei”.
Come sta evolvendo
il mercato del cargo ferroviario?
Dal 2008 c’è stato un crollo verticale nei volumi che
sono diminuiti di circa il 40%. A partire dal 2015 è cominciata la ripresa: il
settore nella sua interezza è cresciuto di oltre il 10% negli ultimi tre anni
mentre le imprese associate a Fercargo, l’organizzazione che riunisce le
imprese prevalentemente private e il cui obiettivo è spingere sulla
liberalizzazione e lo sviluppo del comparto, hanno quadruplicato i volumi, con
un aumento superiore al 30%. Certo, in termini di valore assoluto siamo ancora
lontano dai 70,7 milioni di treni Km di dieci anni fa ma ci sono tutte le
condizioni per riprendere il cammino. Il problema vero è riuscire a
riorganizzare in maniera coerente la filiera intermodale.
Cosa auspica Fercargo
a questo proposito?
Non credo servano ulteriori investimenti. Quelli fatti
bastano. Le opere sui valichi rispondono alle esigenze del Paese. La riforma
dei porti ha inaugurato un nuovo interesse per le aree e le attivitÃ
retroportuali mentre la sperimentazione del pre-clearing e dei fast corridors
creano le condizioni ottimali per dire che la scommessa del ferro è alla nostra
portata. Se dovessi indicare una ricetta risponderei: essere uguale all’Europa,
non solo negli standard infrastrutturali.
Quale è l’intervento prioritario in questo
percorso?
Ovviamente la questione del macchinista unico che incide
sul costo finale del servizio fino al 10-15%. Una questione che nella
esemplarità dimostra tutti i difetti del sistema Italia. Di fatto abbiamo
dimostrato che questa soluzione, peraltro presente su tutto il territorio
dell’Ue, non incide sulla sicurezza: il nostro sistema di segnalamento è il più
moderno d’Europa, la marcia viene controllata in modo continuo e la sua
assoluta efficienza in caso di problemi è stata riconosciuta dall’Agenzia della
sicurezza e dalla direzione generale del MIT. La questione, piuttosto, riguarda
i tempi di soccorso.
Vale a dire?
Le esercitazioni pratiche condotte nell’ambito degli
accordi stipulati da RFI e Regioni, Protezione Civile e 118 indicano nel
peggiore dei casi un intervallo di 40 minuti, ben al di sotto dell’ora, la
cosiddetta golden hour, indicata dalla normativa europea. Ciononostante viviamo
sotto la spada di Damocle di un intervento delle procure poiché c’è una
indicazione di alcune Asl che fissa il limite a mezz’ora. Sia FSI sia Fercargo
hanno richiesto un parere a un comitato interministeriale, così come previsto
dalla legge 81, ma non è arrivata risposta.
Cosa si rischia se
non si sblocca la situazione?
Il quarto pacchetto ferroviario dell’Ue prevede un
sistema di segnalamento unico a partire dal 2020. Fermo restando la liberalizzazione
del settore e l’interoperabilità delle locomotive ce la vede un’azienda estera
che al confine deve far salire sul locomotore un secondo macchinista? Alla
fine, se non smettiamo di farci del male, assisteremo ad un esodo di imprese
ferroviarie italiane all’estero.
Altro ancora?
Ci sarebbe da scrivere un libro. Mi limito alle
problematiche che emergono in caso di sciopero:
anche questo indica il salto di qualità culturale che deve essere fatto
per rilanciare il sistema del trasporto merci. A differenza del settore
passeggeri non sono previste fasce garantite. Con tutte le difficoltà che si
possono immaginare per il funzionamento dei porti e delle industrie.
Giovanni Grande