APRILE 2018 PAG. 64 - Il pericolo viene dal mare. Intelligence e portualità.
M.Caligiuri-A.Sberze.
Rubbettino
Messa da parte l’illusione della “fine della storia” il
XXI secolo si è aperto all’insegna della polverizzazione della “elegante
semplicità del mondo bipolare”. Ne è scaturito un ordine internazionale
frazionato, instabile, caratterizzato dall’entrata in scena di nuovi attori.
Nello stesso spazio globalizzato operano ormai Stati, organizzazioni
sovranazionali, aziende multinazionali, gruppi criminali e terroristici di
varia natura: un turbinio costante di interessi divergenti, accelerato dai
meccanismi della mondializzazione (e dalla reazione ad essi), che genera “zone
grigie” in cui è più semplice coltivare attività illecite o eversive. Una marea
disordinata, culminata con gli attentati dell’11 settembre, che ha innescato un
ricco dibattito sulle nuove categorie d’interpretazione del concetto di
sicurezza, a partire da quella di asimmetricità.
In questo filone s’inserisce di diritto anche la ricerca
di Caligiuri e Sberze che indaga un aspetto del problema, la dimensione
marittima della sicurezza nazionale, non ancora sufficientemente analizzato.
Motore principale della globalizzazione economica, il trasporto navale, e tutte
l’infrastrutturazione logistica al suo servizio, a partire dal sistema portuale,
necessita di un rinnovato interesse sotto il profilo dell’intelligence: in
particolar modo per un Paese come l’Italia caratterizzato da un’enorme
estensione delle coste (circa 8.000 chilometri), al centro di un’area instabile
politicamente, come il Mediterraneo attuale, e pur tuttavia interessato ad
attrarre i traffici merci in crescita che passano per il Canale di Suez.
Nonostante qualcosa si sia fatto a livello normativo nazionale
e internazionale, con l’introduzione, ad esempio, del concetto di security che
è andato ad affiancare quello più tradizionale di safety, i pericoli derivanti
da una “infiltrazione” dei porti sono ancora altissimi. “Gli stessi meccanismi
che dipendono dall’interazione tra più fattori interni al sistema marittimo e
portuale sono quelli che garantiscono di fatto tanto i flussi leciti quanto
quelli illeciti”.
L’avvertenza degli autori fa qui riferimento ad un
rischio concreto, soprattutto per il nostro sistema paese: la possibile
convergenza di interessi tra criminalità organizzata e terrorismo. “Il
container e la natura della logistica che contribuisce alla sua movimentazione
sono di fatto quel ‘mezzo’ che preoccupano gli apparati di sicurezza”. Da qui
l’obiettivo strategico di contrastare la “quinta colonna” all’interno del Paese
con un’azione di prevenzione adeguata. Attraverso una puntuale disamina dei
complessi meccanismi delle attività logistiche, dei punti attaccabili del
sistema e della natura tutto sommato coincidente dei vari interessi illeciti il
ruolo della criminalità organizzata e la vulnerabilità del network portuale
nazionale nei confronti del terrorismo sono così invitati ad essere considerati
sullo stesso piano “perché entrambi i fenomeni sanno come utilizzare i
trasporti marittimi per i propri scopi”.
Sotto questo aspetto l’intelligence portuale “diviene una
priorità per controllare ciò che entra e ciò che esce” poiché l’attività navale
è allo stesso tempo target e veicolo “per ottimizzare una movimentazione che
corre lungo l’asse locale/globale dei flussi commerciali”. Un’intelligence che
si dovrà pensare “flessibile e visionaria”, in grado di interpretare la realtà
su più livelli, che “non si limita alla comprensione del sistema portuale per
sé” ma integra le informazioni locali con quelle che giungono o sono raccolte
all’esterno.