APRILE 2018 PAG. 50 - Rapporto Pmi Mezzogiorno tessuto imprese più robusto
Confindustria – Cerved: cresce il
potenziale degli investimenti. Sostenere la crescita dimensionale
Le PMI meridionali tornano ad investire. Potrebbero farlo in
maniera ben più consistente grazie ad una crescente solidità finanziaria e
patrimoniale. Il tessuto produttivo ha conti economici in ripresa e torna a
popolarsi, ma soprattutto di imprese di piccolissime dimensioni, che faticano
però a crescere. La velocità con cui tale processo si compie non è ancora
sufficiente a recuperare, in tutti i territori, le fette di tessuto
imprenditoriale perdute con la crisi. Due saranno le sfide decisive: attivare il
potenziale degli investimenti e favorire il salto dimensionale delle micro
imprese.
E’ questa la fotografia della 4°edizione del Rapporto PMI
Mezzogiorno, a cura di Confindustria e Cerved, con la collaborazione di SRM –
Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che fa il punto sulle caratteristiche e
sull’andamento di un campione di imprese – le PMI di capitali tra 10 e 250
addetti – rappresentativo del tessuto imprenditoriale meridionale. un campione,
di circa 26 mila imprese, che vanta un fatturato di tutto rispetto (oltre 130
miliardi di euro) e un valore aggiunto di quasi 30 miliardi di euro: da sole,
dunque, valgono poco meno del 10% del PIL meridionale.
Nel suo complesso, il sistema di PMI meridionali, che per
effetto della crisi aveva mostrato una marcata flessione tra 2007 e 2014 (da
29mila a meno di 25mila imprese, -14%), è tornato a crescere, a ritmi anche
superiori a quelli nazionali (nel 2016 +4,1% contro +3,6%). Rispetto ai valori
pre-crisi mancano ancora all’appello circa 2 mila PMI, ma le tendenze sono
incoraggianti, sia sul fronte delle nascite
sia delle cessazioni. Il numero di PMI uscite dal mercato è infatti
tornato su livelli fisiologici, con netti cali di fallimenti (-25% tra 2016 e
2017), di procedure concorsuali (-18%) e di chiusure volontarie.
La natalità si conferma elevata e tocca, con 35 mila nuove
imprese, un nuovo record: ma oltre la metà delle nuove nate sono Srl
Semplificate (cioè con meno di 5000 euro di capitale) e in larghissima parte
piccolissime imprese. La sfida decisiva è il salto dimensionale di tutte le
categorie di imprese: da micro a piccole, da piccole a medie e poi grandi,
infoltendo il tessuto di imprese del Mezzogiorno.
I conti economici sono in graduale ripresa e certificano il
buono stato di salute di questo campione di imprese. Aumentano infatti il
fatturato (+2,7%), che cresce più della media italiana ed è ormai tornato ai
livelli pre-crisi, e il valore aggiunto (+4% tra 2015 e 2016).
Più contenuti sono i miglioramenti della redditività lorda,
come se diseconomie esterne ed interne alle imprese ne limitassero i risultati:
il MOL, in crescita dell’1,6%, è ancora lontano dai livelli del 2007, rispetto
ai quali le PMI meridionali hanno perso più di 30 punti percentuali. Migliora
anche la redditività netta, con il ROE all’8% (dal 7,5% dell’anno precedente),
che però rimane inferiore rispetto alla media nazionale (10,2%).
La forte crescita della capitalizzazione delle PMI
meridionali (+5,3% tra 2016 e 2015, con un incrementi di 1/3 rispetto ai
livelli pre-crisi) rende più sostenibile il debito, e: grazie anche ai bassi
tassi di interesse, si riduce il peso degli oneri finanziari. Nel complesso,
questa ritrovata sostenibilità rende più agile l’indebitamento, soprattutto
nelle regioni dove è più robusto l’apparato produttivo. Si tratta peraltro di
un indebitamento meno “necessario”: in forte calo è infatti il numero delle
imprese meridionali fortemente dipendenti dal credito bancario, ormai quasi in
linea con la media nazionale.
Anche il miglioramento dell’affidabilità creditizia
testimonia la maggiore robustezza dell’apparato produttivo meridionale: metà
delle imprese osservate sono valutate positivamente come sicure o solvibili
(passando dal 40% al 48,4%). E i movimenti dello score indicano comunque che le
PMI che migliorano la propria classe di rischio (35,6%) sono significativamente
di più di quelle che la vedono peggiorare (25,6%).
Il principale segnale di svolta viene dagli investimenti:
dopo una fase di forte contrazione, accelerano e crescono in tutte le regioni
meridionali. Tra 2015 e 2016 gli investimenti materiali lordi delle PMI
meridionali aumentano dal 5,9% delle immobilizzazioni materiali all’8,5%,
superando la media nazionale (7,8%). Ancora meglio fanno le imprese
industriali, i cui investimenti superano il 10% delle immobilizzazioni in
Campania, Puglia e Sicilia.
Soprattutto, gli investimenti mostrano ancora ampi e
confortanti margini di crescita. Le circa 7 mila PMI meridionali con
fondamentali più solidi potrebbero infatti aumentare il proprio indebitamento
fino a 9,4 miliardi di euro, mantenendo un livello di rischio molto contenuto:
un incremento consistente, pari al 22,4% dell’attivo, che se trasformato in
investimenti potrebbe aumentare significativamente la capacità produttiva
meridionale.
Oltre la metà di questo potenziale, 5 miliardi di euro, si
riferisce a 6 mila piccole imprese che, anche grazie a questo ulteriore
indebitamento “sostenibile”, potrebbero ricevere una spinta significativa alla
loro crescita dimensionale e produttiva. Non stupisce se 1,8 miliardi di euro
di nuovo, potenziale indebitamento “sostenibile” si riferisce a circa 1
migliaio di PMI ad alta automazione: anche al Sud Industria 4.0 si conferma la
strada maestra per l’irrobustimento del tessuto produttivo, soprattutto della
parte industriale.
Tra le imprese osservate, quelle industriali sembrano aver
pagato i costi maggiori della crisi ma mostrano ora i maggiori segnali di
vitalità. Il duro processo di selezione
ha fatto scendere il numero di
PMI di capitali tra il 2007 e il 2014 da 6.330 a poco più di 5.000 unità, con
un calo del 20%, percentuale quasi doppia di quella nazionale. Il 2015 fa
registrare un primo, piccolo ma importante, segnale di inversione di tendenza:
sia a livello nazionale, sia al Sud , il numero delle PMI industriali cresce
dello 0,7%.
I risultati delle PMI dell’industria rimaste sul mercato
sono incoraggianti: il loro fatturato cresce al Sud del 4,8% (2016), quasi il
doppio del complesso delle PMI dell’area e più della media nazionale (3,1%). I
margini lordi delle PMI industriali aumentano del 3,2%, il doppio del complesso
delle PMI, ma meno di quelle italiane (+4,6%). Anche le imprese industriali
scontano, dunque, il peso di diseconomie esterne che ne limita le performance.
Un peso che continuerà a farsi sentire, anche in una
congiuntura che si conferma positiva. Secondo le previsioni di Confindustria e
Cerved, nel 2018 e nel 2019, fatturato e valore aggiunto delle PMI di capitali
del Sud continueranno a crescere con tassi non lontani da quelli del resto del
Paese, mentre i margini si manterranno più bassi della media nazionale, a
conferma della rilevanza di fattori esterni che pesano sulla profittabilità
delle imprese meridionali.
Insomma, le prospettive delle PMI meridionali sono
moderatamente positive, ma l’intensità con cui tali andamenti si consolidano e,
soprattutto, la velocità con cui il segno “+” si estende mostrano che c’è
ancora molto da fare per tradurre questi segnali in un complessivo
miglioramento della situazione economica e sociale dei territori meridionali.
Le sfide da affrontare sono impegnative, e di non breve
periodo: occorre, infatti, rinfoltire le fila delle piccole ma soprattutto
delle medie imprese di capitali; attivare il potenziale di investimento con un
miglior accesso alle fonti di finanziamento, non solo bancario; utilizzare
sinergicamente credito, finanza e strumenti di incentivazione; sfruttare i fondi europei per ridurre le diseconomie
territoriali. Imprese, mondo del credito e della finanza, Istituzioni, sono
tutti chiamati a fare la loro parte.
RED MAR