feb 2018 pag 12 - Integrazione tra portualità e attività logistiche.
“E’ arrivato
il momento di sanare una frattura che è tipica del nostro sistema”
Zeno D’Agostino, presidente di Assoporti, alla
guida dell’Adsp del Mar Adriatico Orientale, punta dritto all’integrazione tra
due realtà che finora hanno dialogato poco. “Nei nostri scali non si vede molta
logistica, o quantomeno latitano quelle funzioni caratterizzate da alti livelli
di complessità e innovazione comuni negli interporti. È una lacuna da colmare.
Anche per sfruttare al meglio non solo i canali tradizionali di movimentazione
della merce ma quelli più nuovi, e in forte espansione, come l’e-commerce. Non
riuscire a collegarsi a questo tipo di realtà sarebbe una clamorosa occasione
mancata”.
In che modo
può avviarsi questo percorso?
La strada dei protocolli d’intesa o degli accordi
territoriali non mi entusiasma. È una logica che può essere efficace tutt’al
più nella fase iniziale del dialogo. Personalmente credo si debba guardare ad
una modificazione degli assetti societari degli interporti, con una forte
presenza degli enti portuali. È il lavoro che, insieme alla Regione, abbiamo
impostato con l’Interporto Ferretti. Il 23% di quote azionarie acquisite
dall’Adsp è solo l’inizio: l’intenzione è di entrare in maniera importante
nella proprietà in modo da indirizzare coordinamento e integrazione di aree e
funzioni.
Una svolta
rispetto al ruolo con cui si sono pensate finora le AdSP?
Una questione culturale insita nella filosofia
stessa della riforma. Il presidente di un sistema portuale è chiamato ormai a
guardare cosa c’è dietro le banchine. Tutti si sono concentrati su come la
nuova legge avrebbe integrato porti, disgregato e riaggregato centri di potere
consolidato. Il messaggio principale, in realtà, invita a volgere l’attenzione
verso gli interporti, a integrare banchine e mondo retroportuale, sviluppando
un’azione più dinamica rispetto alla gestione del territorio. Ciò, ovviamente,
presuppone un approccio manageriale a tutto tondo, proiettato all’allargamento
delle prospettive tradizionali. L’AdSP dell’Adriatico Orientale, sotto questo
aspetto, sta facendo la sua parte: da mero gestore del porto oggi ha voce in
capitolo nelle attività dell’interporto, della zona industriale e, da luglio,
amministra i punti franchi.
Questo, in
controtendenza col passato, significa anche un rilancio della presenza
pubblica?
È una necessità che deriva anche dalla
concentrazione in atto nel mondo dello shipping. Nella dialettica con le realtà
oligopolistiche che si stanno aggregando sul lato mare sarebbe impensabile
ragionare sulla base di un’offerta lato terra polverizzata. Nel rapportarsi con
le compagnie è necessario sempre più rappresentare un sistema territoriale che
sia qualitativamente e quantitativamente più ampio di quello che ricade sotto
l’egida dell’ente portuale. Rafforzare il coordinamento e l’integrazione
permette di offrire risposte migliori a chi non si limita più a chiedere delle
banchine ma una struttura complessa e articolata di servizi alla merce. È esattamente
ciò che stiamo facendo a Trieste e ciò che le ZES potrebbero rendere più
semplice nel Sud Italia. A patto di smetterla di parlare di infrastrutture.
E di cosa
si dovrebbe parlare?
Il vero tema, e mi riferisco a tutta la penisola,
non sta solo nelle infrastrutture insufficienti e/o inefficienti: c’è un
generale deficit di governance territoriale cui va posto rimedio. In alcune
regioni i sistemi esistenti andrebbero solo gestiti meglio e coordinati tra
loro, fermo restando la necessità, laddove sussiste, degli interventi per
collegare i nodi. Il rischio, insistendo solo sulla questione “nuove opere”, è
di non fare nulla, di alimentare gli alibi. Anche qui si ritorna all’idea di
un cambio di passo culturale: se la
presenza pubblica è stata cattiva in passato non è detto che nel futuro non sia
in grado di mettere in campo l’intelligenza manageriale richiesta dai tempi.
D’altronde, lo dimostrano innumerevoli esempi internazionali, l’unico modo per
organizzare il territorio passa dalla mano statale: sono dinamiche che non
possono essere affidate al privato.
Via della
Seta, un’opportunità o un abbaglio?
Il limite dell’attuale dibattito sull’iniziativa
lanciata da Pechino sta nel guardare più agli aspetti di tipo geopolitico che a
quelli più propriamente logistici. Capire le dinamiche egemoniche cinesi va
bene ma, a dispetto di qualche polemica, le prima legge del trasporto è sempre
la stessa: le merci sbarcano nei porti più vicini ai territori di destinazione.
Ora, se i mercati di riferimento sono l’Europa centrale e orientale è del tutto
naturale pensare ai cosiddetti scali “ascellari” – Genova, Trieste, Venezia – come
naturale punto di riferimento offerto dalla penisola. Non ha nessun senso
economico pensare di caricare un container a Gioia Tauro e farlo proseguire via
treno verso le Alpi. Quello della Via della Seta non è una logica influenzabile
dai governi ma è determinata da ragionamenti “trasportistici” e va giudicata in
tale prospettiva. Piuttosto, proprio partendo da questo ragionamento, guarderei
con maggior interesse ai traffici nel bacino del Mediterraneo: è li che si
gioca il futuro della portualità italiana e, in particolare, di quella del Sud
Italia.
Con quali
ambizioni?
Dieci anni fa si parlava di creare una zona di
libero scambio nel Mediterraneo. Un dibattito che andrebbe ripreso e sviluppato
perché, rispetto a OBOR, si trattava di un progetto molto concreto, che si
potrebbe realizzare in breve tempo, senza un grosso dispendio per la
realizzazione delle infrastrutture, individuando a monte i sistemi logistici da
mettere a sistema. Io stesso nel periodo 2006-2008 ho guidato Italmed, iniziativa
con cui le regioni del Mezzogiorno avevano incominciato a tessere i fili di un
dialogo con i paesi della sponda Sud. Poi, purtroppo, sono arrivati gli effetti
negativi delle “primavere arabe” che hanno interrotto il confronto. Oggi che
cominciano ad affiorare i primi segnali di una stabilizzazione dell’area, con
livelli di crescita sempre più importanti, quell’approccio andrebbe ripreso. A
prescindere dai traffici di lunga percorrenza, perdere la presa sulle
potenzialità delle direttrici inframediterraneo per distrazione costituirebbe
un peccato mortale.
Trieste
scalo principe della intermodalità, quale segreto?
Ribadendo l’importanza del ragionamento precedente
sull’integrazione degli assetti proprietari, grazie all’acquisizione di
Adriafer abbiamo potuto trasformare la ferrovia nel collante delle nostre
attività. Contare su una propria società permette di proporsi al mercato in un
ottica in cui i singoli nodi del sistema possono sostituire il nodo principale.
Attraverso il servizio di shuttle ferroviario gli operatori cargo non sono più
costretti a organizzare convogli destinati al porto ma possono usufruire dei
nodi intermedi distribuiti sul territorio. Con una flessibilità operativa che
contribuisce da una parte alla qualità dei servizi, dall’altra ad alleviare lo
stress infrastrutturale di un traffico in crescita esponenziale.
Giovanni
Grande