feb 2018 pag 34 - Agostino Gallozzi: connettività fondamentale per Salerno
Alla tirannia quantitativa delle statistiche contrappone
l’interpretazione qualitativa dei fatti: “L’unica strada per poter interpretare
l’incessante trasformazione dei fenomeni”. Non a caso uno dei pallini di
Agostino Gallozzi, presidente di SCT, è la connettività, concetto declinato in
tutte le sue sfumature, che contrappone all’arida elencazione dei dati
numerici. “Le cifre hanno una indubbia utilità nel descrivere il mondo
portuale: danno significato alla sua dimensione industriale. Ma è la qualità
dei mercati che sono connessi in modo competitivo a fare la vera differenza. A
maggior ragione – sottolinea – per un paese come l’Italia votato all’export e
caratterizzato da un’estensione costiera forse senza pari, in cui gli scali
marittimi sono chiamati a ricoprire una funzione strategica”.
Quale tipo di
connettività auspica per il nostro sistema portuale?
L’Italia in generale ha bisogno di collegamenti marittimi
in grado di servire i territori, attraverso gateway puntuali ed efficienti nel
supportare la loro crescita economica. Da questo punto di vista la vocazione
del nostro sistema marittimo rientra a pieno titolo nella categoria del
regional port, funzionale a un’ampia catcher area che comprende anche basso
Lazio, Puglia, Basilicata e, in parte, la Calabria. A patto, però, che si
superi la vecchia idea di porto, singolarmente inteso, a favore di una rete con
più punti d’accesso. Un’esigenza che il presidente dell’AdSP Pietro Spirito sta
interpretando alla perfezione tanto da aver fugato ogni iniziale scetticismo.
D’altronde è lo stesso schema seguito a Rotterdam, dove il porto che è separato
dagli scali interni da una distanza che arriva fino a 50 chilometri.
Stessa rete,
offerte differenti?
La struttura dei principali terminal container di Napoli
e Salerno riflette già le diverse tendenze che hanno caratterizzato il mondo
dello shipping negli ultimi anni: le alleanze, le joint venture e
l’integrazione verticale tra terminal e compagnie. È nel calare le rispettive
connettività in uno scenario in cui si punta a ottimizzare i costi della
componente industriale nave che ci differenziamo dal nostro vicino. Salerno è
un terminal indipendente, dove ogni cliente è il cliente numero uno. Le
differenze risiedono in diverse politiche di attrattività. Da una parte il
flusso garantito da un unico vettore, dall’altra quello derivante da più
soggetti, anche quelli considerati a torto minori, cui garantire parità di
trattamento.
Le principali direttrici
che fanno capo SCT?
Siamo posizionati bene sulle rotte per il Nord Europa, il
Canada, gli USA e il Sud America. In realtà, da Salerno, come da Napoli è
possibile raggiungere ogni angolo del globo. Tutto merito della crescita della
connettività globale e dell’evoluzione del concetto di “hub and spoke”, peculiare ai porti di
transhipment: è quell’effetto underground che sulla tratta Turchia Nord Europa,
per fare un esempio, permette di scalare merce a Valencia per proseguire successivamente
su un’altra unità verso l’Alaska o il porto di Abidjan.
Quali esigenze
territoriali servite?
Alle spalle abbiamo un polo agroalimentare che alimenta
un costante flusso di export. Negli ultimi tempi sono cresciute anche le quote
di import. È questo, l’import dal Far East, il target principale su cui
lavorare per il futuro. Ad oggi, causa limitazioni infrastrutturali, per i
collegamenti con l’Estremo Oriente, non solo la Cina, ma anche i mercati in via
di crescita in Vietnam o Pakistan, dobbiamo affidarci al transhipment. Ma
completati i dragaggi, con la possibilità di ospitare unità maggiori potremo
rispondere all’esigenza delle compagnie che per eliminare il fabbisogno di
posizionamento per i contenitori vuoti promuovo sempre più l’import. Anche
questo significa qualità contro quantità: l’obiettivo della logistica integrata
è che nessuno “scatolone”, nessun camion, nessuna navetta viaggi vuota.
L’imbarco pieno consente di sfruttare la leva della competitività: evitando
alle compagnie i costi di carico per il vuoto si possono scongiurare così
pericolose torsioni sui prezzi che possono scaricarsi sull’anello più debole
della filiera.
Un’esigenza che
SCT ha risolto portando il retroporto lontano da Salerno.
È l’obiettivo che abbiamo perseguito con la realizzazione
di SCT2 a Castel San Giorgio, infrastruttura collegata direttamente allo
svincolo autostradale per Roma. Considerando che il grosso dell’import viaggia
sull’asse Salerno – Nola – Caserta – Roma otteniamo una grande vantaggio: una
volta effettuata la consegna il vuoto ritorna risparmiando un pezzo di strada.
Un sistema che riesce ad autofinanziarsi attraverso l’ottimizzazione dei
processi logistici.
Anche la
tecnologia serve allo scopo?
L’uso delle nuove tecnologie è assolutamente
imprescindibile. Già dieci anni fa adottammo il sistema Cosmos in uso nel porto
di Rotterdam. A breve lo sostituiremo migrando su uno strumento più avanzato,
JADE, realizzato da un’azienda della Nuova Zelanda. Si tratta di una tecnologia
meno nota ma più elastica, capace di venire incontro a quelle che sono le
nostre peculiari esigenze. A questo vanno aggiunti i collegamenti wireless estesi
su tutta l’area di SCT e SCT2 e il sistema per gli utenti ITerminal per il
tracciamento in tempo reale dei container. L’informatizzazione dei processi non
è uno strumento ma il centro stesso della nostra attività per governare al
meglio flussi e spazi a disposizione. Entro quest’anno, inoltre, passeremo alla
lettura scannerizzata dei numeri dei container. Dal punto di vista tecnologico posso
dire che lavoriamo con livelli di insoddisfazione perenne, l’unico
atteggiamento in grado di farci individuare in tempo le migliori soluzioni
alternative.
La scarsa
connettività dell’Italia, un problema culturale?
È una scelta, un atteggiamento che sta salendo dal basso,
dal mondo delle imprese che sono sopravvissute alla crisi rilanciandosi e
capendo le vere priorità di questi tempi. Uno dei principali problemi del Paese
è stata la mancata consapevolezza di essere una realtà export oriented e che
quella era la strada per competere a livello mondiale. Fino a pochi anni fa
potevamo contare sulla difesa delle barriere doganali e valutarie che hanno
influito in modo negativo sulla competitività complessiva del sistema
economico. Spazzati via questi meccanismi autarchici dal vento della
globalizzazione, che non è solo la circolazione delle merci ma soprattutto
quella delle menti, abbiamo faticato ad orientarci per capire la nuova
situazione. E allora se c’è un limite, quello principale è la lentezza con cui
si risponde ai cambiamenti. Bisogna passare finalmente da un paese patchwork a
un paese sistema: un traguardo che può essere raggiunto mettendo le persone al
centro dell’internazionalizzazione, fornendo educazione, formazione e servizi
adeguati. Perché in questo mondo o sei solidamente connesso o non ci sei.
Giovanni Grande