DIC 2017 PAG 22 - La grande scommessa
A un anno dall’entrata in vigore della riforma delle Autorità portuali, il riassetto organizzativo e gli obiettivi dichiarati dalla legge non sono stati ancora realizzati su tutto il territorio nazionale con la stessa efficacia. In talune regioni non tutti gli organi di gestione risultano costituiti, mentre, in altre, non si opera con la dovuta efficienza.
A ciò va aggiunta la mancata convocazione del Tavolo di Coordinamento Nazionale, organo essenziale per la definizione della politica portuale italiana. Invece, in Campania si registra un primato: non solo si è provveduto alla tempestiva costituzione di tutti gli organi di gestione, ma, nel primo anno, l’attività degli apparati è stata particolarmente dinamica. Come evidenziato in più occasioni, nella nostra regione si è già dato corso ad una serie di procedimenti amministrativi di particolare rilevanza: cito a titolo esemplificativo la tempestiva approvazione del piano operativo triennale e del primo bilancio preventivo di sistema relativo ai tre porti (Napoli, Salerno e Castellammare di Stabia) accorpati nella nuova Autorità; oltre a ciò, l’aggiudicazione definitiva della gara per i dragaggi e il compimento delle fasi successive, quali la stipula dei contratti e l’apertura dei cantieri. Evento, quest’ultimo, di indiscussa portata, se si pensa che la comunità portuale era in attesa di tale progetto da decenni.
Quindi, il nostro modello sembra particolarmente efficiente, tanto da poter partire proprio dalla Campania per tracciare un primo bilancio degli effetti della riforma, verificando se gli obiettivi prefissati siano stati raggiunti e se le preoccupazioni manifestate all’indomani dell’entrata in vigore della legge siano ancora fondate. Analizzando le prime fasi dell’operatività in Campania, si può sostenere che gli obiettivi dichiarati di semplificazione burocratica, di riorganizzazione amministrativa e di razionalizzazione del sistema di governo sono in corso di realizzazione. Se poi consideriamo i tempi rapidi con i quali si stanno attuando i citati provvedimenti amministrativi, si può affermare di essere sulla buona strada. Anche il nuovo assetto organizzativo sembra funzionare in maniera efficiente: come è noto, uno dei punti di maggiore inefficienza delle vecchie A.P. era costituito dalla difficoltà di funzionamento e dalla lentezza dei comitati portuali, che, infatti, erano considerati modelli superati, in quanto fonti di conflitti di interessi e incapaci di garantire il necessario equilibrio di sistema.
La riforma, facendo propria quest'ultima posizione, ha disegnato una struttura più snella e, pertanto, più funzionale e il modello organizzativo che ne è scaturito sembra - al momento - produrre i risultati attesi. Al contrario, inizialmente la riforma fu accolta con qualche preoccupazione soprattutto da parte degli operatori portuali:
1. con il mutato assetto organizzativo, essi intravedevano il rischio di non essere più rappresentati: ci si interrogava su quali sarebbero stati i limiti della funzione consultiva e in che misura il parere del Tavolo di Partenariato avrebbe influito sulle decisioni del Comitato di Gestione; si paventava, perciò, il rischio concreto di non poter incidere sulle decisioni strategiche ed operative. È trascorso un anno e l’esperienza della Campania testimonia risultati in tutt’altra direzione: gli operatori sono stati sistematicamente consultati in occasione delle frequenti riunioni fino ad ora convocate e non si sono registrati casi di conflittualità tra organo deliberante ed organo consultivo;
2. un secondo timore era costituito dal possibile squilibrio nel rapporto tra politici e tecnici all'interno dell'organo di governo del porto.
La questione non è nuova e si è posta in tante occasioni in cui - con la vecchia normativa - si procedeva all'individuazione e alla nomina del Presidente dell’Autorità portuale. Anche in questa circostanza, il caso Napoli è emblematico: l'ultimo contenzioso prima della riforma riguardava proprio la sussistenza di tali requisiti in capo ai vertici. Con la riforma, si definiscono con precisione le competenze e i titoli richiesti per la designazione dei componenti del Comitato di Gestione, ovvero: "comprovata esperienza e qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale. ”Sempre per riferirci al modello Campania, c’è da rilevare che ci si è mossi in tal senso, non solo perché il rapporto tra politici e tecnici è senza dubbio a favore di questi ultimi, ma soprattutto perché la componente tecnica risulta rappresentata in modo equilibrato, facendo riferimento al mondo della logistica, della portualità e dei servizi;
3. il terzo, ed ultimo, aspetto che merita un ragionamento più articolato, riguarda il rapporto tra il Tavolo di Coordinamento Nazionale e il Comitato di Gestione locale. In questo caso, purtroppo, non possiamo ancora riferirci a casi concreti, in quanto, come accennato in precedenza, al momento in cui si scrive non è stato ancora convocato il Tavolo Nazionale. Possiamo, dunque, provare a fare un ragionamento teorico. L'istituzione del Tavolo Nazionale ha lo scopo di fissare le linee guida della politica portuale, all'interno delle quali si muoveranno le singole autorità di sistema. Sarà presieduto dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, comprenderà al suo interno i Presidenti delle singole AdSP e definirà gli strumenti di intervento nei singoli sistemi all'interno dei quali si muoveranno gli operatori. Si delinea, così, una struttura a tre livelli (Tavolo centrale/Autorità di Sistema Portuale/Operatori locali), la cui logica, nonché gli obiettivi sono rivolti al soddisfacimento di due esigenze in particolare:
A. considerare l'insieme delle AdSP come unico sistema (sistema Italia), al fine di accrescere la competitività rispetto agli altri porti del Mediterraneo e dell'Europa.
B. interrompere il flusso di investimenti strutturali a pioggia, per razionalizzare e coordinare gli interventi in base alle vocazioni di ciascun porto e agli obiettivi di sistema. Anche in questo caso si pone in maniera molto evidente la necessità di definire con chiarezza il rapporto tra politica nazionale e locale, nonchè di determinare che grado di autonomia avranno le AdSP locali rispetto alla politica portuale definita dai vertici del sistema.
Ne consegue, dal punto di vista degli operatori, una possibile preoccupazione sull’eventualità che questo nuovo sistema possa produrre una modifica sostanziale del concetto di concorrenza all'interno dei sistemi portuali. Si è sempre sostenuto, infatti, che la concorrenza tra i porti avvenga tra gli operatori e non tra le autorità portuali e che sia il mercato a stabilire l'apertura o la chiusura di un porto, il suo sviluppo e la sua vocazione. In questo mutato scenario rischiamo di invertire la logica, approdando ad un sistema più orientato verso il vertice della piramide, nel quale le decisioni su "chi fa cosa" potrebbero essere fissate dall'alto e non dalla concorrenza, in nome della razionalizzazione, del coordinamento e della riduzione degli sprechi; esigenze, queste, senza dubbio legittime e prioritarie, ma che devono tener conto del ruolo fondamentale dei privati in un regime economico liberista. In altri termini, è giusto che ci sia un coordinamento, ma non bisogna sottovalutare il ruolo degli operatori, la loro capacità di conoscere a fondo la realtà locale di un porto, la loro visione globale, il loro autorevole e qualificato punto di vista.
Come coniugare, allora, politica nazionale ed esigenze locali? A mio modo di vedere, tutto dipenderà essenzialmente dalle singole Autorità di Sistema; in particolare, il rapporto tra coordinamento nazionale e realtà locale sarà determinato dalle modalità di interpretazione delle linee guida e dalla abilità dei rispettivi Presidenti di valutare le istanze locali. In definitiva, dalla capacità di fare sistema da parte delle Istituzioni e degli Operatori.
Questa è la grande scommessa!
Stefano Sorrentini